Jazz Madeleines: Riccardo Bianchi ricorda Luca Flores

Una delle ragioni che mi hanno spinto, nel 1980, ad abbandonare il Nord natio per andare ad abitare a Firenze pLuca Floreser 12 anni, è stata sicuramente l'avervi conosciuto Luca Flores.
Tutti noi a quel tempo percepivamo la sua maturità musicale, la ricchezza del linguaggio pianistico e la posatezza nei modi.
Mentre ci impegnavamo per cercare di assorbire un fraseggio e un’espressione jazzistica, potevamo invece percepire nella musica di Luca di quegli anni tracce di tutti i pianisti della modernità, già perfettamente assorbiti, metabolizzati e integrati in modo personale: Tyner, Corea, Hancock e Jarrett.
Ho avuto inoltre il privilegio di assistere al suo concerto di diploma di pianoforte classico al Conservatorio Cherubini di Firenze: Luca stesso mi aveva avvisato e spostai quindi tutti gli impegni per non perdere quell’occasione. Mi resta un’impressione di grandezza e di totale padronanza durante l'esecuzione di un concerto di Prokofiev per pianoforte e ho sempre avuto la certezza che la preparazione classica fosse stata determinante nel dare a Luca quel perfetto senso della forma che lo caratterizzava sia nell'improvvisazione, sia nella composizione.
Per un periodo, nei primi '80 sono andato spesso a trovarlo per suonare insieme nella sua casa sotto la Certosa di Firenze, vicino all'uscita autostradale per Siena. Era molto luminosa e Luca era sempre rilassato. A volte mi invitava lui a volte gli facevo io un’improvvisata, ma in ogni caso lui cucinava per entrambi un piatto di penne rosa, le sue preferite. Dopo o prima di pranzo si suonava insieme e sicuramente lui era molto paziente con me, che armeggiavo col fraseggio, anche se apprezzava il ritmo preciso con cui gli facevo i bassi negli standard.
Non abbiamo quasi mai suonato insieme dal vivo: in un mio disco ha suonato mie composizioni e sono stato ospite in un paio di tracce di un suo CD.
Lo rividi dopo molti anni: andai a trovarlo in un ospedale di là d'Arno, dalle parti di Bagno a Ripoli, se non sbaglio. Era stanco, intossicato farmacologicamente, abbattuto psicologicamente. Però mi ha sorriso tutto il tempo perché percepiva il mio imbarazzo nel non riuscire a dargli un incoraggiamento che avesse un senso, anche se il cuore mi scoppiava di amicizia.
Grazie Luca! Rimarrai nel cuore per sempre e… non è un modo di dire!

(Riccardo Bianchi, rubrica a cura di Enrico Intra)