Jazz Madeleines: Giovanni Monteforte ricorda Peter Ind

Negli anni ‘70, quando la musica d'uso non era ancora dominata dai computer e dai disc jokey, in Italia la maggior parte dei professionisti degli studi d'incisione e della musica da ballo era composta da valorosi jazzisti. Un’élite di successo che, a buon titolo, appariva nei festival del jazz, in radio, televisione e nella produzione di dischi, ma che anche custodiva gelosamente "i segreti del mestiere". In Italia, la figura del jazzista bohémien, intellettuale e militante della cultura, era pressoché sconosciuta.
L'incontro londinese con Peter Ind, contrabbassista discepolo di Lennie Tristano e impegnato nel tramandare la concezione tristaniana, significò per me non solo lo svelamento dei “segreti del jazz”, ma anche l'apprendimento di quella particolare didattica dell'improvvisazione. Fu infatti in un bigio venerdì pomeriggio londinese del 1976 che gli inesplicabili segreti negati nel mio paese mi furono svelati da Peter Ind.
Ma l'esperienza inglese fu determinante non solo per la didattica, ma anche per l'estetica del jazz: fu nella casa di Peter, a Twickenam, che potei incontrare e frequentare quei musicisti di stretta osservanza tristaniana che ancora oggi rappresentano per me un esempio di coerenza e purezza musicale, ovvero il sassofonista Jim Livesy e i due chitarristi Derek Phillips e Dave Cliff, rappresentanti di quel jazz "in bianco e nero", complesso e introverso, che vede alla chitarra l'utilizzo di una tecnica "esoterica", non "per tutti i gusti", basata sulle "pentatoniche-modali a 2 note x corda", approccio sul quale, memore di allora, ho in seguito scritto varie pubblicazioni.
Concluderei testimoniando che, a differenza di quel che vedo in altri paesi, l' incredibile capacità, la modestia, la sobrietà e l'assenza di civetterie rimangono proverbiali riguardo ai jazzisti inglesi!

(Giovanni Monteforte, rubrica a cura di Enrico Intra)